6 commenti

  1. Post sontuoso, per la ricchezza di quanto viene detto, e per il modo con il quale lo racconti. Ho molto amato Kundera – “L’insostenibile leggerezza dell’essere” è il libro che, di fatto, mi ha portato a capire che ero diventato adulto, perché i miei sentimenti lo erano diventati. Con il tempo, ho iniziato a notare una certa tendenza alla didascalia, nelle sue opere, come se il teorico avesse preso il sopravvento sull’artista; ma rimane comunque uno scrittore centrale nella letteratura del novecento, anche per la sua “eccentricità”.
    (Ho messo questo post messo nella mia personale galleria di “scritti memorabili” – ho imparato più qui che in decine di ore di lezione)

    • Grazie Paolo, mi fa piacere che tu abbia apprezzato questo post. Sì, il Kundera teorico, concordo e infatti a un certo punto ho smesso di leggere i suoi romanzi dedicandomi invece ai suoi saggi che trovo estremamente interessanti. Tra i romanzi, “L’identità” è probabilmente il mio preferito anche se forse non il più “importante”.

  2. ps ancora due considerazioni
    1) sono sempre contento quando viene ribadito l’innovazione assoluta portata da Flaubert nella storia del romanzo occidentale – il cambio di paradigma… Tra un libro di Dickens e uno di Flaubert, quasi contemporanei, c’è la stessa distanza che esiste tra la scienza aristotelica e quella galileiana
    2) sui dialoghi, ci sono posizioni molto diverse, e tutte suffragate da prove. Esiste il dialogo iperrealista, e quello massimalista, e in mezzo tutte le possibili gradazioni.Dal mio punto di vista, non serve che il dialogo possa sembrare vero, così come non mi aspetto che la descrizione di un ambiente sia guidata dalla mera aderenza al vero. Per quanto minimale, qualsiasi scrittura “fiction” è rappresentazione, e come tale opera una trasformazione della realtà secondo le caratteristiche del mezzo di comunicazione.

    • Riguardo l’ultima parte del tuo commento: tra le varie fonti che ho consultato mentre scrivevo questo post, mi ha commosso leggere che, nella sua ossessione di trascrivere il dialogo in notazione musicale, Janáček ha trascritto anche gli ultimi lamenti di sua figlia mentre stava morendo (a 21 anni). Un ultimo tentativo di preservare la sua presenza, la sua concretezza. Una magra consolazione, l’illusione di poter, in quel modo, farla rimanere ancora in vita. In onore di sua figlia Olga, Janáček ha poi composto l’opera “Jenůfa” nonché la ‘cantata’ “Elegy on the Death of My Daughter Olga”

  3. Mi sono accorta di annuire a ogni frase quasi a metà dell’articolo. Se non fosse scontato il bello lo userei. Mi viene fuori interessante, che mi piace ancora meno. Ho amato quel racconto di Hemingway che è diventato da subito uno dei miei preferiti. L’accusa che va per la maggiore è: non succede niente. Così come non succede niente nei racconti di Carver, no? Per me è un esempio di come si costruisce un racconto di quelli che preferisco io, vuoti di parole e pieni di significato. Non conoscevo il libro di Kundera, me lo segno.

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