Partire

Guardando dall’alto si vede un corpo, il mio, adagiato su una sdraio e parzialmente protetto da un ombrellone. È esattamente come avevo sperato che fosse. Davanti a me le curve delle colline toscane si aprono fino al mare. In primo piano, incorniciata dagli ulivi e dai fichi d’india, la piscina nella quale sta sguazzando un bambino, il mio. Da qualche settimana ha imparato a fidarsi dell’aria contenuta nei braccioli arancioni infilati alle braccia. Aria vince acqua. Fa avanti e indietro come un cagnolino, prima tenendosi a distanza di sicurezza dal bordo, poi azzardando traversate da un lato all’altro della piscina e infine nuotando per il semplice gusto di farlo.

Al tavolo ci sono persone che ho appena conosciuto. Maurizio dice che il suo negozio di vestiti non rende più come prima, che oggi con un click la gente si veste e non ha bisogno di andare in centro. Franco si lamenta del cagnolino che non è suo ma di sua figlia e quando lei non può tenerlo allora lo lascia alla madre e quando anche lei ne ha abbastanza il cane finisce a lui: l’ex-marito. Ettore ha appena finito di raccogliere mandorle cercando di raggiungere i rami più alti dall’equilibrio instabile di una scala appoggiata al tronco. Sarebbe anche bello continuare a parlare con lui, non fosse per il fatto che a ogni conclusione di paragrafo fa la stessa domanda: sei soddisfatto della tua vita? E anche se uno gli dice di sì, più che altro per tagliar corto e cambiare discorso, lui tira dritto dicendo che sei giovane e che non hai ancora fatto un percorso abbastanza lungo. Abbastanza lungo per cosa? Per rendersi conto che è tutto una merda? Quello se vuoi lo si capisce subito, senza fare grandi percorsi. La diminuzione dei bisogni, dice. Non sentirsi attaccato a niente, dice. Una visione buddista delle cose che uno, se vuole, attua a suo piacimento, quantomeno galleggiando in quella situazione che gli permette di poter dire: sì, sono soddisfatto della mia vita. Dico io. Ma Ettore non molla. Più tardi ho saputo che il verbo da cui trae ispirazione è quello degli Hare Krishna. Appunto, dicevo, sarebbe bello continuare a parlare con lui, non fosse per la sua martellante attività di evangelizzazione. Non c’è verso di aggirare l’ostacolo. Poi in paese dicono che lui da anni è considerato il matto del villaggio, noi intanto lo abbiamo aiutato a sbucciare le mandorle e poi a mangiarne un po’ rompendole con un martello. Martello vince guscio.

Parlano tutti. Io ascolto. Aiuto a trovare il vocabolo più appropriato quando gli altri rimangono con la frase sospesa aspettando che qualcuno la finisca, per poi dire: o no? Tu fai un cenno di assenso e loro ricominciano. Maurizio vuole aprire un ristorante a Ibiza. Franco vuole liberarsi del cane, del mutuo, dell’ansia da parcheggio. Ora che lo guardo bene è identico a Claudio Bisio. Tutta questa scena è uguale a un film di Salvatores e lo diventa ancora di più quando si aggiungono al tavolo Eugenio e Giovanna, la coppia che ci sta ospitando nella loro fattoria agriturismo. Eugenio ha appena seppellito una mucca. Un tempo aveva più di trenta capi di bovini, ora solo sei. Gli ultimi li sta lasciando morire di vecchiaia, perché affrettare le cose? E poi ora si possono seppellire. Prima no. Quando trova una mucca morta chiama il veterinario, firma un paio di fogli, scava una buca e con la ruspa la seppellisce. Quando morirà l’ultima vacca penserò il da farsi, dice, intanto versa da bere e quando Franco tira fuori dal marsupio il necessario per fare una canna, il livello di nostalgia raggiunge il suo apice. Il ricordo di quello che è stato, dei viaggi, delle risate, dei chilometri a piedi, delle feste a casa di sconosciuti in Marocco. Tutto ciò assume una tale forza esplosiva da eliminare ogni preoccupazione per il futuro. Quando il presente fa male ci si appoggia al passato che torna a noi filtrato da un velo di magico romanticismo. È come se la mente abbellisse i ricordi smussando gli angoli dei dolori e trasformando in mito le puntate precedenti del nostro film. Se non si è pronti per il futuro, se non si sa dove inizia la strada per (ri)partire, ci si rifugia nel passato. Poi ognuno dovrà fare i conti con se stesso nella notte del proprio letto. Io intanto aspetto solo che arrivino Abatantuono e Bentivoglio, abbracciati, persi in un canto alla luna e che, dopo un rutto, uno dei due dica: ragazzi, ho mangiato proprio male, ma male male male.

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